L’inconscio musicale II. Robert Schumann e i somatemi
Michele Cavallo
Corpo e inconscio, due parole fondamentali per la psicoanalisi mi sembra siano altrettanto fondamentali per intendere la musica in generale e quella di Schumann in particolare.
- Schumann e l’inconscio musicale
Troviamo in Schumann tutti i temi che Freud aveva cercato nei riferimenti letterari presi da Hoffmann, da Jean Paul, da Heine e dagli altri letterati romantici. In lui li ritroviamo, ma come condensati e intrecciati, espressi nel linguaggio musicale che, come vado qui ripetendo, sembra il discorso stesso dell’inconscio. In Schumann lo sdoppiamento, la frammentazione, l’ironia e lo sfasamento dei piani discorsivi, la ripetizione, la densità da decifrare, sono tutte strategie compositive tese a perturbare la percezione familiare, a inventare un linguaggio musicale nuovo, extra-ordinario, un linguaggio che usa tutte le possibilità sintattiche e grammaticali. Lui stesso annota nei diari giovanili: «Segno dello straordinario è di non venir compreso ogni giorno […]. Sarebbe un’arte ben misera quella che risuonasse soltanto e non possedesse un linguaggio né dei segni per gli stati d’animo!».[1] Sarebbe un’arte misera se la riducessimo al suono, oppure alla linea melodica continua e alle regole della grammatica e della sintassi musicali.
Il suo obiettivo non è mai quello del racconto in suoni, né quello di tradurre in linee melodiche scene e avvenimenti che ha visto o immaginato. Non è neppure quello di esprimere contenuti, significati, grandi temi. La posizione di Schumann è estremamente lucida:
Per quanto riguarda la difficile questione in generale, ossia fino a che punto la musica strumentale possa giungere alla rappresentazione di pensieri e di avvenimenti, molti vi si affannano troppo intorno. Si sbaglia di certo, se si crede che i compositori si mettano innanzi penna e carta col misero proposito di esprimere, descrivere e colorire questa cosa o quella; ma non si tengano in troppo poco conto gli influssi casuali e le impressioni dall’esterno. Inconsciamente, accanto alla fantasia musicale continua a operare sovente un’idea, accanto all’orecchio l’occhio, e questo, organo sempre attivo, tiene fermi in mezzo ai suoni e ai toni certi contorni che col nascere della musica possono prendere consistenza e svilupparsi in chiare forme. Ora, quanto più gli elementi affini della musica portano in sé i pensieri o le immagini prodotte con l’aiuto dei suoni, tanto più poetica o plastica sarà l’espressione della composizione – e quanto più fantastica e penetrante è la concezione del musicista, tanto più la sua opera solleverà e commuoverà.[2]
Sono gli stessi elementi formali della musica, i modi di concatenazione significante, a portare in sé pensieri e immagini, a far emergere sensi; al musicista spetta il compito di sperimentare e creare nuovi modi di concatenazione, nuovi nessi. È evidente, in Schumann, la spinta ad evadere dagli schemi stabiliti, a mutare le vecchie forme per approdare a una forma libera in cui le diverse parti si muovono a formare nuove configurazioni, in cui periodi e frasi si differenziano per i loro rapporti inconsueti,[3] in cui la ricchezza di spunti, di richiami, assomiglia a un assemblaggio.
Forse è per questo che la musica di Schumann, come ha osservato Quirino Principe,[4] per quanto ricchissima di ispirazione non è mai immediata, appare sempre tormentata, artificiosa. È una musica che non si lascia ipnotizzare dalla sua stessa ispirazione lirica, non si concede alle cure parentali della melodia, del ritmo, dell’armonia, non scade al grado di illustrazione o descrizione narrativa. Frequenti nelle sue composizioni sono i movimenti presi in una variazione continua; elementi che dovrebbero essere associati e che invece sono costretti a vivere separati l’uno dall’altro, in reciproco esilio. A volte una sola idea espressa tormentosamente, una ricerca continua di coerenza nell’apparente mancanza di forma, un rigoroso lavoro sulla struttura del linguaggio musicale al di là dei significati. Caratteristiche che Schumann stesso teorizza nei suoi scritti dedicati alla musica romantica.
Nella recensione alla Grande ouverture de Waverley di Berlioz, Schumann ironicamente ribadisce: «quando verrà finalmente il tempo in cui non si chiederà più cosa abbiamo voluto significare con le nostre divine composizioni? Cercate le quinte e lasciateci in pace!».[5] Molti studiosi hanno messo in rilievo i modi in cui Schumann tenta di approdare a nuove forme musicali, prendendo inizialmente distanza dai modelli classici e dai significati che avevano fissato; lo fa prima di tutto prediligendo il frammento. Lo Schumann degli anni Trenta sembra infatti animato da uno spirito frammentistico, dove il bizzarro, il rapsodico, il complesso e persino l’arbitrario aprono nuove possibilità di articolazione. È il periodo delle composizioni giovanili: Papillons (1829–1832), Intermezzi (1832), Carnaval (1834-35), Davidsbündlertänze (1837), Phantasiestücke op. 12 (1837), Kreisleriana (1838), opere in cui prevalgono le spinte centrifughe proprie della poetica del frammento, opere in cui Schumann intreccia, sovrappone, assembla procedimenti e immagini che rendono a volte arduo l’ascolto. In termini semiotici possiamo dire che le operazioni di accostamento e di sostituzione spesso sono così fitte da produrre un “tasso di figuralità” talmente alto da decostruire il discorso narrativo e rendere la comprensione difficile.[6]
Dopo il 1830, con la scomparsa quasi simultanea di Beethoven, Schubert, Hegel e Goethe, sembra finito il periodo delle grandi narrazioni, della concezione totalizzante della forma, dell’organicità del pensiero costruttivo del classicismo viennese. Schlegel e Heine nella letteratura, Schumann nella composizione intuiscono che un ciclo si è concluso e che occorre una svolta radicale. Si tratterà ora – come ha notato Antonio Rostagno – di “giocare con le forme” (sono parole di Schumann stesso), scoprire segrete analogie, dare corso alla fantasia, alla bizzarria, al Witz: «grazie alla facoltà intuitiva del Witz l’artista romantico può, secondo Schlegel, esercitare quella ars combinatoria che sostituisce le categorie retoriche e formali dell’estetica neoclassica».[7] Il frammentismo, la defamiliarizzazione e lo straniamento, la tecnica di improvvisazione, l’intertestualità, la distanza emotiva data dall’ironia, la rottura della dialettica e della linearità del tempo musicale e del racconto, mostrano le strategie per sfuggire sia alla banalità sia allo stile classico. Rostagno ha messo in evidenza come la musica di Kreisleriana mira «a rovesciare le “grandi narrazioni” delle strutture classiche, sostituendole con le “piccole narrazioni” del soggetto spezzato, diviso, incapace di sostenere i sistemi totalizzanti propri dell’età che si era appena conclusa».[8]
L’identità solida sembra evaporare. E se nessuna identità può garantire l’unità, la tenuta delle parti in un insieme, se la forma totalizzante è impossibile, allora non rimane che cercare la vita nel frammento, nell’incompiuto, nell’elemento tutto solo, nella melodia che si incrina, nella progressione che si interrompe bruscamente. L’io non è più la garanzia unificante. Il sentimento, in quanto espressione prevedibile e scontata di un io posticcio, non può sostenere la linea continua. Si tratterà di partire da qui per tentare nuove forme, partire dalla linea spezzata, dall’imprevedibile, dallo sviluppo musicale ridotto a puri eventi, localizzati, soli. Ad esempio in Kreisleriana, Schumann mostra, secondo Rostagno, come la disposizione degli episodi non sia strettamente consequenziale, non ci sia un plot paradigmatico che governi la struttura e il processo formale, […] ma solo una successione di momenti senza stretta relazione. In questo senso la struttura narrativa organica e rettilinea, che caratterizza la grande forma sonata classica, viene minata alle fondamenta: la costruzione unitaria si dissolve in una struttura circolare che sembra ruotare su un centro assente.[9]
Non vi è successione ma sovrapposizione, compresenza, gli eventi sonori sembrano scanditi dalla struttura circolare del ritmo narrativo, come in un cerchio non vi è punto di partenza né punto di arrivo. Nonostante l’apparente mancanza di forma c’è una continua tensione a costruire un ordine e una coerenza d’insieme, ma basata su procedimenti non scontati, che non stabiliscono in anticipo un punto di arrivo, una finalità. Già Massimo Mila aveva sottolineato come quello di Schumann fosse «un mondo che non è, come il mondo organizzato dei classici, secondo il gesto armonioso della sonata, andata e ritorno, partenza, traiettoria ed arrivo, ma una sola traiettoria infinita, che non ha in nessun luogo la sua conclusione»;[10] traiettoria sincopata, a zig-zag, che può solo provare a rifare il percorso ma mai uguale, improvvise interruzioni proprio nel momento della massima esaltazione, con effetto raggelante, come se il soggetto non fosse più capace di sopportare l’irruzione di materiale che spinge dall’interno.
Anche Roland Barthes nota questo particolare andamento compositivo: «i cicli di Lieder non raccontano una storia d’amore, ma solo un viaggio: ogni momento di questo viaggio è come avvolto su se stesso, cieco, chiuso a ogni senso generale, a ogni idea di destino, a ogni trascendenza spirituale: insomma erranza pura, un divenire senza finalità: il tutto, in quanto può, in un solo colpo e all’infinito, ricominciare».[11] In questo senso la musica schumanniana sembra isomorfa al movimento stesso della pulsione: percorso che ha per finalità il circuito intorno al posto vuoto dell’oggetto “perduto”, percorso destinato inevitabilmente a ripetersi. Se il decennio pianistico (’28-‘38) è caratterizzato in parte dal frammentismo narrativo, nel decennio successivo, a partire dal 1840, la vita, la poetica e lo stile compositivo di Schumann cambiano: dopo Kreisleriana si delinea un periodo di maggior equilibrio. Ma le ultime opere, degli anni Cinquanta, sembrano di nuovo tornare al frammentismo dei primi anni. Opera deliberatamente sovraccarica di contraddizioni irrisolte è Gesänge der Frühe del 1853. Rostagno non manca di sottolinearlo:
la qualità estetica principale dei Gesänge è la contraddizione, la non risoluzione di un problema creativo, senza che ciò significhi un’opera mancata: la riuscita è nel fallimento del tentativo […]. Proprio in questa estrema crisi risiede la massima riuscita, il più alto traguardo toccato dall’ultimo Schumann, capace ancora di rifiutare ogni certezza fin nei fondamenti della sintassi, infrangendo la totalità di forme vuote, rimettendo tutto in discussione fino ad annullare ogni forma e ogni continuità dialettica.[12]
La musica del tardo Schumann, complicata da intrecci e dissonanze, da discontinuità del discorso logico, quasi priva di baricentro, sembra riflettere sempre di più la disarticolazione del soggetto stesso. Il discorso inconscio, che procede per salti, esplosioni, faglie, sembra prendere il sopravvento. Il discorso musicale, si fa sempre più segmentato e spinto al limite della negazione della grammatica e della sintassi. Ad esempio, è sempre Rostagno a notarlo, «la frammentazione dell’op. 133 non è solo da intendersi come relativa autonomia di ognuno dei cinque brani. All’interno della conduzione della frase spesso “parlano” due soggetti, o meglio lo stesso soggetto sembra spezzarsi, rifrangersi, sdoppiarsi, perdere identità […], contraddittoria non è solo la superficie melodico-armonica del suo discorso, ma la discontinuità disorientante influenza persino l’intenzione del movimento lineare profondo, del pensiero lineare-tonale».[13]
L’inconscio che Schumann ci permette di teorizzare, è riconducibile ai diversi procedimenti che la sua musica suggerisce; oltre al frammentismo, possiamo ritrovarlo nell’idea dello spezzato, dell’interrotto, del pulsatile, dell’evento, del lampo, del fallimento. Nella ripetizione, nel montaggio, nel non-finito, nell’inciampo. È ancora Lacan a darci la chiave di questa lettura: «La forma essenziale in cui ci appare inizialmente l’inconscio come fenomeno è la discontinuità–discontinuità in cui qualcosa si manifesta come un vacillamento».[14] L’inconscio più che una profondità da cui affiorerebbe materiale nascosto, è una pulsazione[15] che episodicamente si apre e lascia guizzare fuori dei lampi, delle schegge. Ecco allora che si manifesta come sorpresa, intoppo, mancamento, fessura, fallimento della continuità e della previsione. Vuoto, non-realizzato, zona larvale, si «manifesta come qualcosa che resta in attesa nell’area del non-nato».[16] L’inconscio è qualcosa, quindi, che ha a che fare con la discontinuità, con i buchi del linguaggio e dell’azione. È ciò che manca, è l’impossibile a soddisfarsi, è il far cilecca, la sua essenza «è il fallimento».[17] In questo suo “fallire”, in questa sua passione per il non-tutto, Schumann sembra annunciare il passaggio dalla musica come discorso alla musica come evento, dal Simbolico al reale. [18]
Sembra, cioè, anticipare alcune esperienze della musica novecentesca. Ma sembra anche suggerire un cambiamento nella concezione dell’inconscio, che Lacan nel suo ultimo insegnamento ha caratterizzato come passaggio dall’inconscio come discorso (simbolico) all’inconscio come evento (reale). C’è un inconscio che “parla”, si svolge nella catena significante con sensi e non-sensi, parla e vuole-dire; e c’è un inconscio muto, che non parla e non vuole-dire, ma semplicemente insiste come assenza, fallimento, pulsione di morte. Non è strutturato come un linguaggio, non obbedisce alla logica del significante, ma a una insensata coazione a ripetere, puro evento contingente, fuori-discorso, resistente a ogni decifrazione e interpretazione. Buco che il reale produce nella struttura di ogni ordine possibile.
- Fuori discorso, lo scatenamento
La lingua di Schumann sembra avere una tensione verso un grado zero in cui il residuo, il resto, il detrito tentano di avvicinare il più possibile l’essenza, il suono puro, il significante irriducibile, evento non concatenato. Ma in questa tensione il mondo stesso sembra ridursi a una stratificazione di rovine, di frammenti che hanno perduto la loro interezza. Più che un rifiuto della forma e dell’unità, più che una scelta estetica decostruttiva, quella di Schumann mi sembra, però, una difficoltà ad assumere quell’interezza. Da qui una continua tensione a inventare modi di tenere insieme ciò che è sempre sul punto di disfarsi. In questo senso il frammentismo schumanniano potrebbe essere riletto non solo come scelta stilistica, ma come risposta necessaria che sottende una costante tensione a costruire forme, concatenazioni, a inventare modi di unificazione diversi. Il frammento e la scomposizione sarebbero modalità per tentare costruzioni possibili. La sua ricerca in tutti e tre i periodi sarebbe segnata da una unica tensione verso l’invenzione di forme che, però, ha esiti diversi nel decennio pianistico, nel periodo centrale e infine negli ultimi anni.
L’elemento isolato, residuale pur essendo informe e fuori-discorso, è anche il punto di partenza per costruire. Ma non sempre vi si riesce. E quando i significanti rimangono soli non rinviando ad altri significanti, non si incatenano a formare un discorso, allora diventano pure presenze (sonore o visive) che prendono forma di allucinazioni, di eventi reali, autonomi, persecutori. Nel lavoro di concatenamento dei suoni, di costruzione di un discorso musicale, può accadere di fallire e allora «molti pericoli sorgono: buchi neri, le chiusure, le paralisi del dito e le allucinazioni dell’udito, la follia di Schumann, la forza cosmica divenuta cattiva, una nota che vi perseguita, un suono che vi trafigge. […] Resta il fatto che non si è mai certi di essere abbastanza forti, poiché non si ha alcun sistema, si hanno soltanto linee e movimenti. Schumann».[19]
La disgregazione della sintassi musicale va, in Schumann, di pari passo con la scomposizione della realtà e dell’io. La sua scrittura “compositiva” sembra quindi avere una duplice funzione: di difesa e di ricomposizione. È costante il tentativo d’inventare modi per ristabilire una forma, contro il nudo suono che rende folli. L’ironia, il displacement, l’intimità, il carosello delle forme brevi o interrotte, gli intermezzi, la ripetizione, le voci che come echi si allontanano e si spengono; tutti dispositivi che in Schumann sembrano invenzioni per tener lontano una realtà interiore “troppo” invadente. C’è un Lied del 1851-52 il cui titolo riassume in un’immagine l’atteggiamento di Schumann poeta-musicista: Die Fensterscheibe (“Il vetro della finestra”, n. 2 dai Sechs Gesänge op. 107). Attraverso il vetro l’artista vede il mondo, ma non lo tocca; sa che esso non è amabile, ma non spinge l’esperienza fino al contatto, per non averne orrore e per non odiarlo. Questo freno gli garantisce la continuità della visione, ma gli impedisce di uscire oltre il vetro. Se però la tentazione di liberarsi è troppo forte, e può esserlo, c’è il rischio che il soggetto voglia uscire da se stesso.[20] Il vetro è una soglia, un argine, un velo che protegge. Al di qua del vetro c’è la difesa, la contemplazione, la sublimazione. Al di là l’irruzione della realtà interiore e la lotta per placarla. Non resta che un lavoro di stile, di montaggio, e l’ironia per esorcizzare questa irruzione, per arginare queste forze oscure che lo travolgono, per incanalare le correnti che lo attraversano. È lui stesso ad attribuire alla “maschera dell’ironia”, indossata per qualche istante, la funzione di coprire il viso addolorato.[21]
In generale, Schumann cercherà sempre forme nuove per tenere a bada un “reale” esorbitante, informe e doloroso. Quando l’identità, ovvero il senso di unità, non tiene, tocca ricomporre, ordinare: il dare forma può fare da argine allo smottamento alluvionale. Qualcosa di troppo monta, preme, si espande, invade il corpo e i pensieri. Il fare artistico incanala, trasforma, distilla, acquieta, a patto che riesca a costituire un circuito, a mettere in movimento la catena significante, in cui la pulsione possa circolare e “defluire”, per così dire. La necessità, quindi, di tenere insieme, di dare forma a ciò che scivola nel caos, è alla base della costante tensione di Schumann a trovare nuove soluzioni musicali; se la realtà è minacciata da disarticolazioni e dissociazioni, sarà possibile preservarla in un luogo piccolo, intimo. Per Schumann, il Lied è il luogo intimo in cui ripararsi, luogo rassicurante in cui il canto avvolge e preserva l’unità del proprio corpo. Poiché «cantare, nel senso romantico, è questo: godere fantasmaticamente del mio corpo unificato».[22] Altra soluzione può essere la fantasia: un modo per elaborare una struttura sempre nuova con piccoli frammenti, ognuno dei quali è insieme intenso, mobile, dotato di una sua autonomia e coerenza discorsiva, seppur breve. Se la forma d’insieme è costantemente minacciata, allora movimenti brevi, continuamente mutanti, forme decentrate, spezzate, che interrompono e riannodano, fanno da ponte: l’intermezzo.[23] Altre volte può essere il ritornello, un dispositivo per fabbricare un particolare vissuto del tempo, il “tempo implicato”; una struttura che ritorna, scandisce e dà posto al percipiens.
Ma le invenzioni, i dispositivi compositivi – abbiamo visto – non sempre riescono a tenerlo al riparo dai pericoli del reale che invade. Se la musica ha un’intimità particolare con la logica dell’inconscio, allora si intuisce perché Schumann (e potremmo dire il musicista in genere) è esposto permanentemente a quella logica, sempre in bilico sul vuoto del fuori-discorso, del fuori-senso, fuori-tempo. Quando a presentarsi è il suono puro, isolato, non è il senso a prodursi ma l’allucinazione che ingombra tutto lo spazio reale del corpo e del pensiero. Può prendere la figura di un doppio, di una presenza costante, che si materializza nel suono puro, magari in un Do permanente o in voci demoniache e angeliche. Sono gli ultimi anni in cui Schumann, nella clinica di Endenich, è preda di queste presenze. Sono i referti dei medici, pochi appunti del diario di Clara e qualche parola di Schumann stesso a testimoniarcelo.
Dal diario di Clara: «Robert è stato colpito da un violento disturbo all’udito, durato tutta la notte, da non poter chiudere occhio. Udiva sempre lo stesso suono ininterrottamente, in aggiunta a volte un altro intervallo». [24] Dal diario di Robert: «Durante il giorno mi ha risparmiato. Verso sera molto forte (meravigliosa musica); […] ancora peggio, ma anche meraviglioso».[25] Ancora dal diario di Clara:
Il mio povero Robert, soffre terribilmente! Ogni rumore suona per lui come musica! Dice sia una musica celestiale di strumenti dagli splendidi suoni, come mai si è sentita sulla terra! E tuttavia lo travolge terribilmente. Il medico non può farvi nulla […]. I disturbi all’udito erano così aumentati che sentiva l’intero brano come da una intera orchestra, dall’inizio alla fine, il suono dell’ultimo accordo permaneva nella sua mente fino a che Robert rivolgeva l’attenzione ad un altro brano. Venerdì, nella notte, appena andati a letto, Robert si è alzato, e ha scritto un tema. Ha detto che gli è stato cantato da angeli; dopo averlo terminato, si è sdraiato nuovamente fantasticando tutta la notte, sempre con gli occhi spalancati rivolti verso il cielo; era pervaso dalla forte convinzione, di essere circondato da angeli sospesi, che gli facevano le più celestiali rivelazioni, accompagnati da una meravigliosa musica […]. Venne il giorno seguente e con esso un terrificante cambiamento! Le voci angeliche si trasformarono in voci demoniache, in una musica ripugnante; gli dicevano che era un peccatore e che volevano precipitarlo all’inferno. In breve, il suo stato peggiorò fino ad un parossismo esagitato. Urlava dal dolore (perché, come mi disse dopo, quelle voci si erano avventate su di lui in forma di tigri e iene per afferrarlo) […]. Mai dimenticherò quel che ho visto, ho sofferto con lui un vero supplizio. Dopo una mezz’ora divenne più calmo, e diceva che ora si rifacevano sentire voci più amichevoli che gli davano coraggio.[26]
Voci, musica, suoni fuori controllo e fuori senso, che arrivano alle sue orecchie come da fuori appunto. Ma allora, se i significanti isolati, fuori discorso, sono sempre sul punto di scatenare il caos, cosa garantisce l’annodamento in una catena, cos’è che fa sì che la struttura simbolica, il discorso, l’identità, tengano? Se il nesso S/s non è garantito una volta per tutte, se è sempre sul punto di non tenere, cos’altro ci preserva dal delirio, dall’allucinazione, dalla follia?
Forse le forme eterne e le grandi Narrazioni? La credenza e la fiducia in un Ideale, in una Verità ereditata? Le leggi di natura? Le leggi strutturali, logiche, universali? Le leggi del linguaggio? Le leggi dell’associazione, della somiglianza, dell’identità? Queste sono tutte garanzie esterne al soggetto, a priori, e possono non essergli date in maniera efficace, o non essere da lui assunte, oppure non funzionare permanentemente. Anche la credenza nelle Verità dei padri e nell’Ideale, è una garanzia soggetta all’usura del tempo, si consuma. E se si incrina, se non è in grado di dare consistenza ai legami della catena significante, a “scatenarsi” sarà il linguaggio, il pensiero, la realtà, il corpo stesso. Come pezzi staccati, le funzioni e le parti del corpo fluttueranno in uno spazio esploso, informe. Pezzi che si faranno sentire come irruzione, affezione incontrollabile, insensata. Lacan ha identificato questa condizione come “godimento” senza limiti, fuori catena, distinto da un godimento localizzato e governabile.
Abbiamo quindi due condizioni: un godimento lasciato tutto solo, fissato in un significante puro, assoluto, che si impone al soggetto come estraneo e ingovernabile; e un godimento significantizzato, messo in catena, elaborabile grazie al saperci fare con il linguaggio e con l’invenzione artistica. La musica, più di altri linguaggi, evoca nuclei di godimento a partire dai quali una forma, una identità, una catena, un discorso si costituiscono. Quando però questi nuclei di godimento non trovano le loro articolazioni rimangono soli, isolati, fuori catena, fuori discorso e allora finiscono per affliggere, perseguitare il soggetto, insistono senza senso e senza tempo. Diventano significanti assoluti.[27] Il soggetto allora cercherà di trovare connessioni, rimandi, sensi, somiglianze, contrasti, opposizioni, differenze, inclusioni, esclusioni. Dovrà inventare modi per stabilire nessi S/s. A volte questi tentativi prendono forme “deliranti”, altre volte invece prendono una forma riconoscibile dal soggetto stesso e dall’Altro, dalla società. Si crea così una nuova forma, un nuovo modo di concatenare, un nuovo discorso che l’Altro celebra come opera d’arte.
Quando in psicoanalisi si parla di arte si pensa subito alla sublimazione. In effetti, Freud fa della sublimazione una delle possibili vie della pulsione per “soddisfarsi”, attraverso la trasformazione, l’Aufhebung, l’elevazione e la significantizzazione. Ma non tutto della pulsione può essere trasformato, c’è un nocciolo che resiste all’Aufhebung. Ci sono artisti che aggrediscono quest’osso, cercano di trattare l’intrattabile, di dire l’indicibile, di rappresentare l’informe. Per fare ciò devono inoltrarsi in una discesa a picco nella carne, nella strana soddisfazione che nel loro corpo si produce contro l’anatomia, contro il senso, contro il principio di autoconservazione, contro lo stesso principio di piacere. Una discesa che li mette a contatto con quel godimento autistico senza regole e senza limiti. Un godimento non elevato alla dignità della rappresentazione e della forma, un godimento magnetizzato dai residui, dal frammento. Oltre alla sublimazione ci sarebbe questa seconda struttura che dà conto dei rapporti tra corpo e linguaggio. Una seconda struttura che è il rovescio della prima. Jacques A. Miller, a partire dall’insegnamento di Lacan, l’ha chiamata “corporizzazione”. Non è il corpo (pulsionale, libidico) che si trasforma in significante, in linguaggio articolato (testuale, musicale, coreografico ecc.) ma è il significante che entra nel corpo e lo magnetizza. Non sublimazione ma corporizzazione:
tale struttura è completamente diversa dalla prima. La prima è elevazione, sublimazione della cosa verso il significante. La corporizzazione è, al contrario, il significante colto come ciò che affetta il corpo dell’essere parlante, e il significante che diventa corpo, frammentando il godimento del corpo.[28]
Ecco allora che spesso troviamo nello stesso artista queste due tensioni laceranti, una verso la sublimazione, l’elevazione significante, il tentativo di acconsentire alle forme, e l’altra che lo risucchia verso l’informe, la disarticolazione delle forme, verso la nuda vita. Nella corporizzazione, infatti, troviamo l’ossessione per l’elemento puro, per il significante che non rimanda a nessun altro significante.
- È il corpo che suona: “somatemi”
Il corpo e il significante, dunque. Il godimento e il linguaggio.
Linguistica e semiologia da sole non bastano a rendere conto di questo rapporto. La psicoanalisi in quanto scienza della lingua privata e inconscia può contribuirvi. La psicoanalisi portando in campo il soggetto implicato, tiene conto del godimento incistato nel corpo che è al di là di ogni senso stabilito, ma non al di là di un significante, che va appunto scoperto. Anche nella musica, almeno nella prospettiva che qui si propone, il nesso tra significante-godimento-corpo è fondamentale.
Ho già accennato al tentativo di ricondurre il linguaggio musicale alla materialità del significante: frequenza, timbro, volume, durata, ecc. attraverso cui ricostruire delle leggi di corrispondenza con l’esperienza “naturale”, organica del corpo. Certo può esserci un certo isomorfismo in grado di dar conto di un “significato incarnato”: alla ripetizione ritmica può corrispondere una pulsazione biologica, a un suono acuto una tensione acuta nel corpo o una sensazione di verticalità, a un timbro stridente una sensazione di brivido e così via. Su questa ipotesi alcune ricerche di fonosemantica[29] e di psicologia della musica hanno stabilito le basi per erigere teorie sulla relazione tra emozioni e voce, suono, musica.[30]
Per rimanere più vicini ai riferimenti che finora ho trattato, una studiosa come Julia Kristeva ha letto la significanza come corporeità della lettera-significante, corporeità che costituirebbe un pre-senso sottostante e precedente ogni discorso; sarebbe riconducibile a delle tracce olfattive, tattili, visive che a livello infralinguistico garantirebbero un continuum tra il linguaggio e il corpo.[31] Lo stesso Barthes spesso è ambivalente nel ricondurre la significanza ora alla materialità nuda del significante, quando parla della “grana” della voce come materialità del corpo;[32] ora invece a una concezione meno materialista, in cui la “grana” della voce non è ricondotta alle caratteristiche fisiche dello stimolo (timbro, volume, tono, ampiezza), ma all’erotica musicale, e proprio in questa accezione avrebbe a che fare con il piacere e il godimento che suscita nel soggetto: «Che cos’è la significanza? È il senso in quanto prodotto sensualmente».[33]
Pensare una materialità nuda, pura, primaria è equivoco e porta fuori dal linguaggio, fuori da qualsiasi articolazione e da qualsiasi discorso artistico. Il linguaggio è forma non sostanza e là dove la “grana” della voce o del suono hanno una particolare rilevanza, non è da cercare nella loro pura materialità. Se è vero che non c’è isomorfismo tra S/s, allora privilegiare la faccia fonica o grafica del significante vuol dire sottovalutare le sue principali qualità: quella di essere vacuolo di un godimento incarnato nel corpo del soggetto, e quella di rinvio, di ponte, di legame, di catena in cui è fondamentale non solo la sua qualità materiale, fisica, ma quella “formale” e contestuale, in cui il posto (il prima e il dopo) che gli elementi occupano, la loro funzione e le loro proprietà associative sono rilevabili solamente a partire dalla lingua privata di uno specifico soggetto vivente e godente. La materialità del corpo vivente non va pensata come pre-significante, pre-categoriale, originaria, nuda e pura, è bensì il risultato di quella specifica organizzazione di posti, funzioni, associazioni.
Per Lacan è il simbolico a fare il corpo umano, è il linguaggio a “organizzare”, a dare forma al corpo, a dare una struttura al sentire propriamente umano, agli affetti.[34] Il corpo è essenzialmente fatto da tutto ciò che fa sì che egli si allinei «in una sequenza di significanti».[35] Il corpo in quanto pulsionale, libidico, costituito in una immagine, in una forma unitaria e in quanto orientato all’Altro (preso nella dialettica di bisogno-domanda-desiderio) è già da subito significantizzato. Né psicologicamente, né anatomicamente il corpo umano preesiste al linguaggio inteso come logica del significante. Quando gli elementi costitutivi la corporeità si danno come puri, staccati, soli, abbiamo visto cosa succede: emerge un corpo inumano, perturbante, ingovernabile, allucinato. Ogni nucleo di godimento, se è sentito parte del “corpo proprio” vuol dire che è già organizzato secondo la logica binaria del significante, che assicura la funzione di ponte, di rinvio, di associazione ad altri significanti. Incatenandosi il significante si fa sentire nel corpo vivente, godente.[36] Quando il godimento scatenato (di cui la psicosi ci dà esempi) viene catturato nella rete significante, allora diviene trattabile, vivibile, orientato. L’esperienza corporea va pensata nei termini di godimento-significante, di corpo-discorso.
Non è dal lato del significante, quindi, che va cercata la “materialità”, né in una presunta naturalità organica del corpo, ma dal lato del godimento del singolo soggetto; non nella fisicità oggettiva, esterna o interna che sia, ma nell’effetto che ha sulla lingua privata, incarnata, di ognuno. Non è nei parametri fisici e paralinguistici della parola Ratten, che va cercata, ma nel trattenere/espellere, nel crescere/decrescere e nelle somiglianze/contrasti che essa attiva come movimento nel circuito associativo di quel particolare soggetto che conosciamo come “l’uomo dei topi”; quella parola ha un effetto indipendente dal significato e dal referente abituali, poiché è un significante che muove, tocca, sposta, spinge la catena delle associazioni della sua lingua privata, addensa godimento, turbamento, e catalizza altri significati a insistere, a ripetersi, a girare intorno a quel particolare “punto sensibile”. È qui la materialità del significante Ratten, nel “trauma” che resiste a farsi assorbire nel significato comune. In tal senso è al di là del fonosimbolismo e dell’isomorfismo: somiglianze e corrispondenze non sono da cercare nella forma materiale (non riusciremo a trovare i parametri fonico-sonori della repulsione o del godimento ambivalente nella parola Ratten, e non troveremo nel suono dello shofar i correlati del perdono o della colpa), sono da cercare nei rinvii, nella dinamica, nel tempo, nel movimento che generano all’interno della lingua incarnata. Non bisogna confondere la realtà esterna (la materialità oggettiva) con il “reale” del soggetto. L’oggetto sonoro musicale, in senso proprio, non è “materiale” nel senso di un oggetto della “realtà esterna”, udibile. È materiale nel senso di una macchia impenetrabile, nucleo o residuo traumatico che non si riesce a vedere, a dire, a udire; è residuo che semmai causa e orienta il movimento verso l’udibile, il dicibile, il visibile, cioè verso la realtà esterna.
Insisto, le caratteristiche del significante sono importanti ma non sono riducibili all’udibile e al visibile, proprio perché la loro azione è da reperire dal lato del soggetto, negli effetti che hanno nel corpo godente. Sono caratteristiche che evocano una dinamica interna riconducibile all’essere vivo, al godere/patire e che avvertiamo come “movimento”, appunto, come mutazioni dentro il corpo. Per cui bisogna verificare di volta in volta che cosa in una data cultura, in un dato contesto, in un dato soggetto, in un dato momento, è in grado, ad esempio, di produrre il crescendo come effetto, che cosa è in grado di produrlo dentro quel corpo: un semplice aumento del volume? Un ispessimento armonico? Una progressiva destrutturazione? Una ripetizione? Le forme cambiano, si consumano, ma ciò che rimane come principio costante è l’essenza musicale del linguaggio: il mutamento. Isomorfismo si dovrebbe dire “isocronismo”: similarità di movimento, mutazioni nel tempo secondo regole, corrispondenze processuali e non materiali. La dinamica del discorso musicale riprende la struttura e persino la morfologia della catena significante con cui si articola la nostra vita interiore (il circuito pulsionale, il sentire, il godimento, gli affetti): il modo del suo sorgere, declinare, combinarsi, intrecciarsi, sovrapporsi, avvicendarsi, i suoi accenti, le pause, i contrasti, le intensità, i crescendo e i diminuendo.
Il significante fondamentale della sintassi musicale – nell’ascoltarla, nel suonarla e anche nel comporla – sarebbe un significante comune alla percezione della sintassi di ogni altro linguaggio. Barthes ha proposto il termine «somatema». I somatemi sono figure del corpo «il cui tessuto forma la significanza musicale».[37] Sono gli elementi base del linguaggio musicale: «qualcosa solleva il mio corpo, lo gonfia, lo tende, lo porta al limite dell’esplosione e subito dopo, misteriosamente, lo deprime e lo illanguidisce. Questo movimento, deve essere ascoltato al di sotto della linea melodica; questa linea è pura, e anche nel culmine della tristezza dice sempre la felicità del corpo unificato».[38] Barthes osserva come siano le stesse annotazioni di Schumann sullo spartito a darci le indicazioni dei somatemi con cui leggere, suonare, ascoltare la musica:[39]
- Bewegt: qualcosa si agita senza direzione, come un fremito leggero del corpo
- Aufgeregt: qualcosa si sveglia, si eleva, si drizza
- Innig: il corpo si interiorizza, si perde nel dentro, verso la propria terra
- Äusserst innig: qualcosa si svolge dentro come se ci fosse, all’estremità, un fuori del dentro che tuttavia non è l’esterno
- Äusserst bewegt: si agita così forte che potrebbe spezzarsi – ma non si spezza
- Rasch: velocità diretta, esattezza, ritmo giusto, impulso
È evidente che, con queste indicazioni, Schumann puntasse a destare la materialità dal lato del corpo-godimento del musicista, dell’interprete, a destare ciò che la materialità grafica della scrittura e la sintassi non riescono a dire. Per farlo ha usato parole che evocano movimento, una dinamica interna al corpo «legata non agli stati d’animo, ma ai movimenti sottili del corpo, a tutta quella cinestesi differenziale, a quella marezzatura istologica di cui è fatto il corpo che vive».[40]
Lo psicoanalista Daniel Stern[41] ha cercato di descrivere l’esperienza mentale del bambino in procinto di acquisire il linguaggio verbale, in termini musicali. Si tratta di una grammatica sensoriale basata su una dinamica temporale fatta di qualità sfuggenti che vengono avvertite in termini di movimento e di spinte, corrispondono a esperienze quali: fluttuare, apparire, svanire, trascorrere, irrompere, vibrare, esplodere, riempire, svuotare, espellere, ritenere, crescere, diminuire, accelerare, rallentare, presenza, assenza, pausa, forte, debole, intenso, evanescente, espansione, contrazione, pulsazione ritmica, addensarsi, scioglersi, ecc. Non si tratta però di significanti precategoriali o primari, semmai indicano la dinamica del linguaggio, valida per tutti i canali sensoriali. Sono qualità che non si riferiscono a un singolo canale sensoriale ma si traducono in una sorta di “isocronismo” da un canale all’altro. Stern ha definito questa percezione “amodale”. Sono significanti saldati a nuclei di godimento e nel loro rinvio, nella loro dinamica, strutturano il sentire del soggetto all’interno di una catena, di un discorso che diverrà poi musicale, verbale, visivo ecc. In questa accezione il termine somatema è davvero appropriato. [42] I somatemi sarebbero gli elementi base della grammatica del sentire, significanti di godimento. Ogni somatema, in quanto elemento di un corpo vivente, è già organizzato secondo una coppia S1-S2, cioè implica un movimento, un passaggio da… a…. Avvertire un mutamento è sinonimo di corpo vivente/godente: immobile-mobile, sotto-sopra, coeso-esploso, trattenere-espellere,… ognuno di questi nuclei di godimento, o somatema, è già una coppia (la percezione del proprio corpo non si dà se non attraverso queste differenze, queste transizioni).
Ogni nucleo di godimento è, quindi, un significante binario, tensivo, ponte. Il corpo umano è una catena organizzata di questi nuclei di godimento. Una catena significante è formata da somatemi (significanti di godimento) che rinviano ad altri somatemi: S1 (S1-S2) — S2 (S1-S2) ecc. Solo così un corpo diviene un corpo umano, sentito come proprio; solo così un godimento autistico o “scatenato” diviene un godimento umanizzato e sublimato.
Michele Cavallo, “L’inconscio musicale”,
saggio pubblicato negli Atti del convegno Schumann: la musica, l’ambiente culturale, il silenzio della follia, tenutosi all’Università La Sapienza di Roma il 17 nov 2010, edito da LIM, Lucca, 2014.
NOTE
[1] Robert Schumann, Gli scritti critici, a cura di G. Taglietti e A. Cerocchi, vol. I, Ricordi-Unicopli, Milano 1991, pp. 144 e 147.
[2] Robert Schumann, La musica romantica, SE, Milano 2007, p. 54.
[3] Ivi, p. 51.
[4] Quirino Principe, Il pensiero musicale di un artista ai margini. La poetica del mal-essere in Robert Schumann, in Creazione e mal-essere, a cura di Marco Manzoni, Guerini & Associati, Milano 1989, pp. 89-102.
[5] La musica romantica, op. cit., p. 128.
[6] Secondo Francesco Orlando il “tasso di figuralità” indica la frequenza delle operazioni retoriche che rendono un discorso più o meno evocativo. Un basso tasso produce un discorso burocratico, tecnico, un alto tasso produce un discorso poetico che se troppo fitto di strategie retoriche disorienta e diventa incomprensibile. Cfr. Francesco Orlando, Per una teoria freudiana della letteratura, Einaudi, Torino 1973, pp. 59 ss.
[7] Antonio Rostagno, “Kreisleriana” di Robert Schumann, L’Epos, Palermo 2007, pp. 13-14 e 17-18. Le qualità del Witz e dello Humour si identificano con il rapido avvicendarsi d’atmosfere espressive contrastanti, il distanziamento ironico attraverso lo sdoppiamento in Florestano ed Eusebio, l’allusione di linee che si interrompono.
[8] Ivi, p. 75.
[9] Ivi, p. 73.
[10] Massimo Mila, Breve storia della musica, Einaudi, Torino 1963, p. 227.
[11] Barthes, L’ovvio e l’ottuso cit., p. 279.
[12] Antonio Rostagno, “Tardo stile” e “opera tarda”. Gesänge der Frühe: compimento di un percorso o svolta a «vie nuove»?, in “Rivista di Analisi e Teoria Musicale”, 2010/2, pp. 88-89.
[13] Ivi, rispettivamente pp. 97, 100, 101.
[14] Lacan, Seminario XI cit., p. 26.
[15] Ivi, p. 183.
[16] Ivi, p. 24.
[17] Id., Seminario XX, cit., p. 58.
[18] Per la nozione di “evento” cfr. Alain Badiou, Logique des mondes, Seuil, Paris 2006, p. 379. Per quanto riguarda la nozione di “reale”, in Lacan non ha nulla a che vedere con la realtà o la fattualità, si riferisce a ciò che non è simbolizzabile, dicibile, pensabile, articolabile, interpretabile: il Reale lacaniano è asemantico e amorfo. Ha a che fare con il godimento e il corpo pulsionale, è al di là del controllo del soggetto, si presenta nei fenomeni traumatici, perturbanti, nell’angoscia, nel nucleo sintomatico irriducibile.
[19] Gilles Deleuze, Félix Guattari, Millepiani, Castelvecchi, Roma 2006, p. 509.
[20] Principe, op. cit., p. 101.
[21] Schumann, La musica romantica cit., p. 55.
[22] Barthes, L’ovvio e l’ottuso, p. 276.
[23] Ivi, p. 283.
[24] Dal diario di Clara Schumann, 10 febbraio 1854, cit. in Robert Schumann in Endenich (1854-1856), a cura di Bernhard R. Appel, Schott, Mainz 2006, p. 44.
[25] Dal diario di Robert Schumann, 14 febbraio 1854, ivi, pp. 44-45.
[26] Ivi, pp. 45-46.
[27] Quando il significante si dà tutto solo, fuori catena abbiamo due esiti patologici: 1) la pietrificazione del corpo, la fissazione e la ripetizione autistica, l’immobilità, la sensazione di non avere un corpo; 2) il corpo in frammenti, pezzi staccati che fluttuano in uno spazio privo di gravità, parti o funzioni slegate che danno al soggetto la percezione di un fuori-corpo persecutorio e minaccioso.
[28] Jacques A. Miller, Biologia lacaniana ed eventi di corpo, in “La Psicoanalisi”, n. 28, 2000, p. 97.
[29] La fonosemantica è la branca della linguistica che studia il rapporto tra la fonetica e la semantica delle lingue naturali. Alcuni arrivano a parlare di una “filosofia naturale della lingua” o di “linguistica materialista”.
[30] Esemplari sono le ricerche sul fonosimbolismo di Ivan Fónagy, La vive voix: essais de psycho-phonetique, Payot, Paris 1983. Cfr. anche C. Serra, Musica Corpo Espressione, Quodlibet, Macerata, 2008.
[31] Julia Kristeva, Seméiotiké, Feltrinelli, Milano 1978.
[32] Barthes, L’ovvio e l’ottuso cit., p. 259.
[33] Roland Barthes, Il piacere del testo, Einaudi, Torino 1999, p. 122.
[34] Jacques Lacan, Radiofonia. Televisione cit., p. 9.
[35] Ivi, p. 10.
[36] Il significante come tale è sempre uno-tra-altri, quando troviamo un significante Uno, cioè tutto solo, che non si dà nella coppia, si tratterà di capire se lo è in quanto significante principale, che dà avvio alla catena e che assicura l’entrata nella dialettica alienazione/separazione, oppure è il significante Uno che si ripresenta fuori catena, godimento che affetta il soggetto (Lacan, Seminario XX cit., pp. 143-144). Quando si dà fuori catena, come significante isolato, si fa sentire nel corpo come elemento estraneo, persecutorio, in tal senso non è godimento del “corpo proprio”.
[37] Barthes, L’ovvio e l’ottuso cit., p. 294.
[38] Ivi, p. 277.
[39] Ivi, p. 297.
[40] Ivi, p. 291.
[41] Daniel N. Stern, Il mondo interpersonale del bambino, Bollati Boringhieri, Torino 1987.
[42] I somatemi sono significanti di qualità transpecifiche dell’esperienza, percezione amodale nella quale le differenze si danno attraverso l’intensità, gli schemi temporali, il cambiamento degli assemblaggi. La filosofia estetica ha da tempo definito intensità, tempo e forma, qualità trascendentali dell’esperienza.