Quest’opera mostra il carattere enigmatico del desiderio, mostra che l’uomo non ne è il padrone, deve piuttosto trovarlo, situarlo e farci i conti. Ecco allora che l’Amleto non è qui per caso. Amleto deve uccidere Claudio, è giusto che lo faccia, i suoi sentimenti sono protesi alla realizzazione, ha le opportunità per farlo, lo desidera ardentemente… eppure rinvia, continuamente. Qualcosa di enigmatico dentro di lui fa da ostacolo.
Recensione al Seminario VI. Il desiderio e la sua interpretazione, Einaudi, Torino, 2016. Testo stabilito da Jacques-A. Miller. Cura e traduzione italiana di Antonio Di Ciaccia.
La teoria analitica non può che fondarsi sulla nozione di desiderio. Termine in grado di render conto di tutto ciò che viene connotato, spesso in modo vago e parziale, come energia psichica, tendenza vitale, libido, affettività, sentimenti positivi e negativi. Il Seminario del 1958-59 giunge per proporre una sintesi proprio a partire da questo concetto-valigia.
Ma che cos’è il desiderio? Lacan mette subito in guardia dalle sovrapposizioni: non è il prolungamento di un istinto o l’ingenua e naturale tendenza verso un oggetto, poiché “il desiderio umano ha la proprietà di essere fissato, adattato, raccordato non già a un oggetto ma sempre essenzialmente a un fantasma” (23). Ovvero, il desiderio non si accende perché appare un oggetto (persona o cosa) bello, affascinante, desiderabile. In ognuno di noi, a partire dalle primissime relazioni infantili, prende forma un particolare scenario, una particolare “fantasia” fondamentale in cui una persona, un aspetto particolare di questa persona (una parte del corpo, lo sguardo, la voce, il modo di….), assumono una rilevanza speciale da costituire appunto l’oggetto del desiderio. Ecco perché il desiderio si sostiene sul fantasma, che fornisce la cornice e la scena in cui l’oggetto affiora e prende posto. Ma c’è bisogno di un’architettura significante per poter leggere e interpretare questo desiderio fondamentale che sta dietro a ogni mutevole desiderio quotidiano. Il desiderio fantasmatico sta dietro ed è invisibile, è inconscio. Spesso è in contraddizione con i nostri desideri dichiarati, espliciti, anzi fa loro da ostacolo.
Lacan ci invita a percorrere i labirinti dell’interpretazione: quali tracce seguire in una analisi, cosa ricercare, cosa è avvenuto di essenziale nel soggetto, quali significanti restano rimossi e perché, come stanare il desiderio del soggetto che si nasconde nei significanti più banali. Per inoltrarsi in questo cammino dedica tutta la seconda parte del seminario a un testo letterario: l’Amleto di Shakespeare. Ribadisce che l’Amleto non è qui per caso, essendo essenzialmente la tragedia del desiderio. La mole di commenti a questa pièce è qualcosa di incredibile, nota Lacan. Ma ancora più incredibile è la straordinaria diversità delle interpretazioni più contraddittorie, che hanno dilagato attraverso la storia instaurando il problema dei problemi, vale a dire: perché tutti si accaniscono per capirci qualcosa? Freud non ci mette molto a gettare un ponte sull’abisso dell’Amleto. Lo fa in poche righe, in una nota dell’Interpretazione dei sogni, a proposito dell’edipo. In verità è sorprendente che l’Amleto sia rimasto fino a Freud un enigma letterario totale. Ciò non vuol dire che non lo sia più, tuttavia c’è stato quel ponte (262). Lacan ribadisce che non siamo lontani dalla clinica, siamo nel suo cuore, visto che si sta cercando di articolare e situare il senso del desiderio propriamente umano (che è ben altro dall’istinto, dal bisogno, dalle tendenze preformate). La tesi che Lacan avanza è che quest’opera mostra il carattere enigmatico del desiderio, l’uomo non ne è il padrone, deve piuttosto trovarlo, situarlo e farci i conti (116). Qui il posto del desiderio vi è articolato in modo così efficace che qualsiasi lettore finisce per riconoscervisi. Quello che interessa la psicoanalisi riguarda gli strati profondi della trama, l’insieme della tragedia, la sua articolazione, poiché il dispositivo drammaturgico è qui una specie di rete in cui il desiderio rimane impigliato. Infatti, grazie al modo in cui è costruita, grazie all’organizzazione dei piani che si sovrappongono, all’intreccio delle diverse linee dei personaggi, quest’opera ci tocca profondamente, sul piano dell’inconscio, ci offre un posto, permette di alloggiarvi ciò che è celato in noi, ovvero il nostro rapporto con il desiderio più proprio, che spesso si presenta come un vero tormento. Infatti, Lacan pone l’accento su alcune scansioni del testo per metterne in luce il dispositivo, la rete.
Prima di tutto l’apparizione dello spettro del padre e la rivelazione: della sua morte per mano dello zio, della sua condizione di dannato, del vorace desiderio della madre, la regina, che subito si è lasciata trascinare nel letto dell’assassino. Qual è il senso della rivelazione del padre-morto? “È l’irrimediabile, assoluto, insondabile tradimento dell’amore”, scrive Lacan, si tratta di una verità senza speranza, che non lascia adito ad alcuna elevazione, riscatto o redenzione (328). Il fantasma consegna ad Amleto la missione della vendetta, ma allo stesso tempo evoca l’amore tradito. La velocità e l’indifferenza del desiderio della madre nel passare da un oggetto (colmo di virtù) a un altro (così abietto), sarà l’enigma che terrà Amleto prigioniero nel labirinto dei suoi pensieri e renderà impossibile il suo atto di vendetta, fino alla fine.
Il desiderio della madre è la seconda scansione su cui Lacan ritorna più volte. A frenare l’atto di Amleto non è il desiderio edipico per sua madre (così come voleva Freud), ma è il desiderio di sua madre. Un desiderio indifferente, vorace, smodato, incomprensibile. Al punto che anche il suo amore per Ofelia sarà investito da questo orrore della femminilità e si convertirà in rifiuto, ribrezzo, schifo. Lo stesso schifo che Amleto evoca quando parla delle nuove nozze della madre con lo zio, dell’intimità incestuosa con lui. Per Amleto il desiderio della madre è “qualcosa che non può in alcun modo essere dominato, eliminato” ricondotto alla ragione (311), diventa per lui una trappola in cui smarrisce il senso del desiderio e in particolare il proprio in relazione all’atto, al suo stesso essere il-figlio-vendicatore. Lacan mostra questa afanisi nella violenta scena con la madre, dove cerca di persuaderla a desistere dall’andare a letto con Claudio, ma alla fine è lui a desistere davanti a una donna che sembra dire: sono quel che sono, con me non c’è niente da fare, sono una vera donna fallica, io non conosco il lutto, il pranzo del funerale può essere rimesso in tavola per le nozze. “Ella è semplicemente una fica beante. Andato via uno, arriva l’altro” (316). In tal senso è animata da un desiderio vorace e indifferente. Non distingue tra l’uomo ideale e quello spregevole, basta che soddisfi la sua volontà di godimento. Così, per Amleto, “qualsiasi uomo o donna non è altro ormai che un’ombra inconsistente e putrefatta” (368).
La terza scansione su cui Lacan insiste è l’atto impossibile. Amleto deve uccidere Claudio, è giusto che lo faccia, i suoi sentimenti sono protesi alla realizzazione, ha le opportunità per farlo… eppure rinvia, continuamente. La procrastinazione è la figura retorica dominante della sua mente. È sempre sospeso al tempo dell’altro, non è mai l’ora dell’atto. C’è nella posizione di Amleto qualcosa di esausto, di incompiuto, di ineseguibile. Ma allora come mai vedremo tutto d’un tratto diventare possibile ciò che era impossibile? Ofelia è per Lacan il punto centrale. È lei ad avere la sventura di essere la prima persona in cui Amleto si imbatte dopo l’incontro con il fantasma. È evidente che a seguito di quell’incontro sconvolgente, Ofelia è per lui completamente dissolta come oggetto d’amore. Attraverso questo rigetto si palesa la causa che ha avvelenato l’animo di Amleto: il desiderio vorace della madre che ha ricoperto di piaghe ogni immagine femminile. Ofelia-fallo, simbolo dell’amore, della vita viene ora rigettato. Ed è Ofelia, con la sua morte, che costituirà per Amleto il punto di svolta per l’assunzione della propria causa e la realizzazione dell’atto. La scena del cimitero segna questo passaggio, la reintegrazione dell’oggetto a, la sua riassunzione nel lutto. Solo a partire da questa reintegrazione sarà possibile la vendetta, Lacan sottolinea che “l’oggetto a del desiderio è quell’oggetto che sostiene il rapporto del soggetto con quello che egli non è”, ovvero non è il fallo (387). Qui l’incorporazione, nel lutto, dell’oggetto perduto provoca “un buco nel reale” (371). Ed è da questo buco in cui la verità, il senso e la sospensione al desiderio dell’altro sono risucchiati, che potrà prendere avvio l’atto scatenato, fuori-senso. L’assunzione dell’oggetto del desiderio porta a un al di là del bisogno e della domanda, del bene e del piacere, del senso e della sequenzialità.
I capitoli successivi del seminario approfondiscono proprio questa natura oscura, indomita, tormentosa del desiderio. “Essere oggetto di desiderio è fondamentalmente diverso dall’essere l’oggetto di un qualsiasi bisogno” (361), da qui la natura essenzialmente perversa del fantasma del nevrotico, da non confondere con la posizione del soggetto perverso “identificato con la forma immaginaria del fallo” (516). Altro esito possibile alla problematicità, alle contraddizioni del desiderio polimorfo è la via verso la sublimazione, con cui il seminario si chiude.